''Per l'Italia è in campo il Capitano Raimondo D'Inzeo...''
“ C’erano i D’Inzeo ? ”
Era questa, la domanda che inevitabilmente, a metà di ottobre, all’incirca dagli anni '70 in poi, mia madre mi rivolgeva regolarmente quando tornavo dal campo ostacoli della Favorita di Palermo, mia autentica seconda casa, specie poi nei giorni in cui vi si svolgeva l’annuale CSI.
Per mamàn, inseparabile appendice di mio padre, vecchio generale con la passione dei cavalli, e fra i rifondatori di quella che fu la vecchia ed indimenticata Società Palermitana di Equitazione, al Parco della Favorita, l’equitazione italiana del secondo dopoguerra era e sarebbe rimasta per sempre “targata” Fratelli D’Inzeo”.
Essendo, per tradizione familiare, stato svezzato a pane e cavalli, era stato impossibile, per me, declinare da una strada decisa direttamente “dalle stelle alle stalle”, pardon, “scuderie”, dove sin da piccolo era facile reperirmi fra le zampe di qualche paziente equino.
Divenuto “allievo juniores” ero stato affidato ad un ex maresciallo dei carabinieri, l’indimenticabile Maresciallo Murgia, severo, sardo e segaligno, ma grande uomo di cavalli, “Raimondiano” ca va sans dire, sino al midollo, ma, per dovere “di docenza" “Pieriano” o meglio “caprilliano” d’ufficio !!!.
Erano anni in cui gli appassionati si dividevano in due grandi categorie, i Pieriani ed i Raimondiani, sorta di equestri Montecchi e Capuleti, accomunati dai cavalli, divisi dai cavalieri.
Erano, i due fratelli, come dire, le due facce speculari di una Equitazione Italiana che si fregiava di nomi come quelli di Oppes, Gutierrez, Mangilli, Lequio, etc, che avevano fatto grande la nostra equitazione nel mondo.
Cresciuto, e lasciata la rassicurante mano di mio padre, avevo preso a “bivaccare”, con altri coetanei “malati” di “cavallite acuta”, nei giorni dello CSI palermitano, attorno alle scuderie e staccionate, studiando da vicino quei grandi campioni internazionali che nella magica ottobrata palermitana si offrivano alla nostra ammirazione di giovani cavalieri.
I nomi ? Và da sé, andavi da un Pessoa su Gran Geste, ad un Winkler con Halla, da un rotondeggiante Parot su Tic, ad un biondo Smith su Espartaco, ai “nostrani” Mancinelli, Castellini, Orlandi, e tanti e tanti altri, che staresti lì un giorno solo a scriverne i nomi, anzi i bi-nomi, perché, non dimentichiamolo mai, i cavalieri sono e possono essere solo “binomi”. Se fossero solo nomi, allora sarebbero semplici e banalissimi uomini; col cavallo, anzi propri grazie a lui, divengono Cavalieri, i più bravi poi, come Raimondo, o Piero, diventano, per noi appassionati, autentici ed inarrivabili MITI !
Anche fra noi, giovanottelli “di belle speranze”, fra la metà degli anni 60 ed i primi dei rumorosamente capelluti anni 70, la divisione fra Pieriani e Raimondiani era netta.
Per noi, per tutti, erano Piero e Raimondo, o al limite “i D’Inzeo” o, come potrebbe recitare uno slogan pubblicitario “ I fratelli d’Italia”, e non c’era irriverenza in questa autoconcessaci familiarità con due grandi campioni, ma piuttosto era un sentirli strettamente parti di noi, quasi fratelli più grandi, comunque familiari, da rispettare e se possibile cercare di imitare; Imitare, sia chiaro, non scimmiottare stupidamente ed esibizionisticamente.
Chi tirava sempre a vincere, si schierava sempre ed essenzialmente con Raimondo, incarnazione, con Merano, Bellevue, Stranger, Fiorello, ed altri, allora e secondo noi, della volitività che deve sempre avere il cavaliere nel perseguire la meta della vittoria, derogando, se necessario, dai canoni di una rigida ortodossia stilistica, in funzione del risultato da perseguire. Chi invece era per lo stile a tutti i costi, “senza se e senza ma”, si schierava con Piero, impeccabile sul mastodontico The Rock, o sull’elegante Damigella, o sul macchinosissimo Fidux.
Personalmente, devo ammetterlo, nella scelta del campo sul quale schierarmi, considerato anche “le phisique” non proprio “du role” che mi portavo appresso, o peggio “in sella”, ero un po’ come il famoso asino di buridano, che per l’indecisione se scegliere fra l’acqua ed il fieno finì per morir di fame e sete !
Erano, quelle nostre, due scuole di pensiero, forse diverse, o così credevamo, dando luogo, in scuderia o “al circolo”, ad accese discussioni fra noi sulla prevalenza dell’uno sull’altro e viceversa.
Solo con la maturità, con un approccio meno emotivo e più e ragionato col cavallo, dopo aver lasciato alle spalle la foga “garibaldina” degli anni giovanili, capimmo che ambedue gli stili erano lo specchio della personalità e della volitività di due grandi, inimitabili, campioni interpreti, come solo i grandi solisti sanno fare, dello stesso spartito.
Credo che una delle ultime volte che lo vidi in sella sul campo della Favorita, fosse su Kalabalfa, un baio di Luciano Pavarotti, che l’allora colonnello, già vicinissimo al congedo, montava, quell’anno, nelle “basse” dello CSI, considerate le non eccelse qualità del tenorile destriero !
Degli incontri, pochi per la verità, avuti con Raimondo D’inzeo, ricordo sempre la sua gentile cordialità e disponibilità verso tutti, anche verso chi (il sottoscritto) lo intervistava “camurriusamente*” per il suo giornale, durante uno stage che il colonnello aveva tenuto a Palermo ai primi anni 90. (dal siciliano ”camurria” = scocciatura)
Per quel che valga il mio personale ricordo, mi piace rammentarlo con quel vago sorrisetto vagamente ironico che punteggiava spesso il suo viso e il suo parlare, con la sua cadenza romanesca, sempre pronto ed attento alle domande, e con battute,spesso frizzanti, che ti lasciavano a bocca aperta per la loro puntualità e precisione, e magari restavi lì a chiederti se per caso non stesse un po’ a divertirsi prendendoti, ma sempre signorilmente, in giro , sempre pronto, però, e se lo riteneva utile, a darti un consiglio giusto, a suggerirti, con decisa ed esperta cortesia, un approccio “diverso” sicuramente migliore, ad un problema sorto col tuo cavallo.
Sia come sia, al colonnello non si poteva non volere bene, sia sportivamente che umanamente, grazie anche a tutto quello che ha dato all’equitazione italiana in tutti questi anni, ma grazie soprattutto alle sue personali doti di uomo, di istruttore, ma soprattutto di MAESTRO.
Adesso che non c’è più, forse inizierà “il carosello” attorno al suo ricordo, ma a me piace ricordarLo solo e semplicemente come un Carabiniere, fedele alla sua Arma, che, assieme a pochi altri, fra i quali,per primo, il fratello Piero, ha saputo portare con onore e decoro sia la divisa, che il nome dell’equitazione italiana, nel mondo.
Chissà, forse Lassù, in quell’immenso campo ostacoli fra le nuvole, uno speaker sta già chiamando in campo il prossimo cavaliere ……..” per l’Italia è in campo il Capitano Raimondo D’Inzeo su Posillipo “ …… e sarà nuovamente, e per sempre, ORO !!!!!!!!
Giacomo Giuffrida Samonà