Pisa, il bel quadro di una corsa di cavalli
Sulle rive dell'Arno ecco Pisa, una piccola Parigi. I suoi palazzi rinascimentali, i suoi ponti e il fiume che qui approda alla sua foce, il mare è a soli dieci chilometri. Pisa e i suoi lungarni, cari a Giacomo Leopardi, che vi ritrovò la sua miglior ispirazione. L'antica Repubblica Marinara, la scienza con Galileo, l'università e una piazza dalla bellezza che toglie il fiato: il verde del prato, il bianco del marmo e quella sequenza Duomo, Battistero e Torre Pendente, capolavori innalzati al cielo per comporre un quadro che sotto la luna ha la suggestione di un quadro di De Chirico. Non a caso si chiama Piazza dei Miracoli.
La storia, lo studio, la scienza, l'arte, tutto a Pisa e' eccellenza, è studio e aggiornamento, è impegno per andare in profondità alle cose e curarne i dettagli. La magia della voce di Bocelli, un figlio di questa terra, mette l'accento sul concetto di arte che sublima e migliora la qualità della vita. Pisa che racconta anche grandi storie di sport. Nel calcio e nell'ippica, in passato nella boxe (Mazzinghi e Del Papa i grandi pugili di valore internazionale). Il football con una città che vive di passione grande per quella maglia nerazzurra di una squadra che ha conosciuto anche grandi stagioni in serie A, e i cavalli, l'ippodromo, le piste di allenamento. I purosangue che, sulle diritture di San Rossore, si allenano e corrono nel verde di una quiete scalfita appena dai rintocchi degli zoccoli. Ma su quei terreni morbidi ed elastici che Federico Tesio, fedele innamorato di Pisa, decantava a tutto il mondo dell'ippica, sembrano soltanto un fruscio.
Domenica i cavalli del Premio Pisa torneranno al tondino per la 132a volta. Il libro della corsa è qualcosa di prezioso, un contenitore di storie da sfogliare pagina dopo pagina con emozione. Ci sono le grandi femmine del nostro galoppo, dalla consistente Fausta (doppio Derby/Oaks) alla rocciosa Archidamia (con il suo settebello di gran premi conquistati dai due ai tre anni, in una stagione in pista intensissima) per proseguire con Nogara, la madre di Nearco. Quindi Ribot, il più grande di tutti, poi milers di una certa classe come Capo Bon e Isopach, per arrivare a Genevien, l'ultima femmina ad essersi imposta nella classica d'apertura del galoppo italiano. In sella alla tre anni dei fratelli Brotini c'era il grande Willie Carson, ingaggiato per sigillare un'impresa di cui si parla ancora nei racconti degli appassionati.
E diversi modi di vincere il Pisa: il coast to coast di un dormelliano, Dordone, e il volo al largo, con una rimonta impressionante, di Capolago, l'alfiere di casa Turri. Quella del Prato degli Escoli per ogni jockey è una corsa speciale. Nell'amarcord una foto vintage, il bianco e nero che ritrae i fantini tutti insieme prima della corsa, anno 1965, l'ultimo Pisa vinto da Enrico Camici, in sella a Rieti e indossando il celeste e rosso della scuderia Aurora (i colori della famiglia Citterio resi celebri dall'ostacolista Cogne). Il grande fantino pisano aveva trionfato cinque anni a fila (dal 1955 al 1959) vestendo il biancorosso dei purosangue allenati a Bolgheri.
Già, Dormello, gli Incisa e i Tesio, con Donna Lydia che nel 1957 riceve sorridente la Coppa del Pisa per la vittoria di Grigoresco. Altra ippica, più signorile quella rispetto ai giorni nostri, dove comunque resta intatto il fascino di una corsa di galoppo come il Premio Pisa. La città ed il suo ippodromo la vivono come una festa. Quell'anello di presentazione è un tripudio di cromatismi. I purosangue maestosi, in folte criniere e nei loro mantelli di colore baio, sauro, grigio e baio oscuro, sfilando al tondino rubano l'occhio a donne profumatissime, ragazzi con i sogni nel cuore e papà con sulle spalle bambini che da quella postazione privilegiata assistono ad un prodigio, ammirando quell'animale elegante in tutto il suo fascino: concentrazione, fascio di muscoli, portamento. Le storie accadono, diceva Tabucchi, un meraviglioso uomo di cultura pisano dei quali ricorrono i 10 anni dalla scomparsa. E anche domenica, quando andranno in partenza, i cavalli e i fantini dalle lucidi e colorate casacche, alzando lo sguardo potranno ammirare la skyline di San Rossore, con la cresta delle Apuane, le grandi montagne bianche, scultura della natura scolpita nel marmo, che compare proprio lassù, a far cornice alle gabbie della partenza. La cartolina che l'ippodromo regala allo spettatore prima di salire sull'ultimo gradino della tribuna, schermandosi con la mano dal raggio di sole che si abbassa mentre sta per tramontare. E' in quel mentre che lo sguardo cerca il cavallo in testa a quella galoppata sul tappeto erboso di una corsa che si chiama Premio Pisa. Che sia Vecello, il purosangue più chiacchierato nei bar cittadini alla vigilia della prova o un altro protagonista, sarà accolto con un grande e scrosciante applauso al rientro al tondino.
Nella settimana che porta al gran premio, un mattino siamo entrati nell'ippodromo, un teatro che viveva l'attesa in modalità silenzioso. I seggiolini della tribuna vuoti, l'aria tiepida della primavera, il verde smeraldo della pista. Eppure, guardandoci attorno, pareva di sentirli il battito, la velocità e la forza, i volti e i sorrisi, gli sguardi e i profumi. La primavera è tornata di nuovo e in quell'ippodromo disegnato tra i pini e la macchia mediterranea, dove il vento porta l'odore del mare, sta per arrivare il Premio Pisa, una galoppata dentro la felicità.