Il mondo nell'occhio di un cavallo
Cassiera in un supermercato di giorno, barista in un pub la sera. Un marito arreso alla disoccupazione e agli acciacchi, due genitori anziani ed egoisti, i figli adulti e ormai lontani. Molto grigiore, modesti guadagni, poche speranze per Jan Vokes, che abita in un ex villaggio minerario del Galles, lambito dalla risacca economica.
Che progetti può avere una donna in una situazione del genere? Verrebbe da dire "nessuno". Ma non è così: Jan Vokes, ascoltando le chiacchere di un cliente del pub, che sembra saperla lunga sui purosangue da corsa, comprende che le serve un sogno. E decide di allevare un galoppatore da far scendere in pista. Convince il marito a investire il loro fondo pensione nell'acquisto di una giumenta, Roubelle, e organizza una "società" fra la gente del paese, per provvedere alle spese della monta e al mantenimento del futuro puledro: dieci sterline al mese per uno possono bastare a mettere insieme un piccolo gruzzolo sul quale fare affidamento.
Roubelle viene alloggiata nell'allargato garage di casa. E quando viene accompagnata alla monta, lo sguardo degli uomini di scuderia dove vive il titolato stallone, sono un misto di pena e disprezzo: se c'è uno sport che seleziona le possibilità in base al reddito, questo è l'ippica. Che ci fa quella cavalla da nulla in una scuderia di qualità? Ma Jan non demorde dal suo sogno, paga la monta e torna a casa senza arrendersi, neppure quando Roubelle muore di parto. Le è rimasto un puledrino, un sauro che sgambetta nell'orto, e sul quale si appuntano le speranze della "cooperativa" che lo mantiene, non senza sacrifici e dissidi: come si chiamerà il sauretto? La proposta di Jan è che si chiami "Dream alliance". La loro è una società di sognatori, il cavallo ne è il simbolo.
Diciotto mesi dopo, il puledro viene mostrato agli scettici occhi dell'allenatore proprietario dello stallone. E da lì - inutile spoilerare il film, da un mese facilmente rintracciabile su una piattaforma - prende il via una storia che ha la sua migliore qualità nella lettura in filigrana del mondo britannico. Perché "Dream Horse" descrive con molta puntualità come nella società inglese (forse in tutte) la vita per le classi meno abbienti sia difficile, come l'ascensore sociale sia inceppato da decenni, come una comitiva di gente semplice venga ammessa a fatica nel recinto dei proprietari. Sembra di vedere un film di Ken Loach, il regista inglese che tanto spesso ha raccontato le dolorose fatiche della classe più fragile del paese. E’ nelle campagne segnate dalla depressione, tagliate fuori dalla globalizzazione che la gente ha deciso di uscire dall'Europa e ha votato per la Brexit, senza capire che la strada da percorrere era un'altra. Il regista Euros Lyn (gallese come i suoi protagonisti, e con un buon mestiere) disegna con sapienza le molte dinamiche che si intrecciano nella scalcinata comitiva di proprietari e nella famiglia di Jan. In questo suo affresco è assai ben coadiuvato da un cast di caratteristi di buona qualità, e da due protagonisti in grande forma: Toni Collette, gloriosa attrice australiana, poi affermatasi in Inghilterra e negli Stati Uniti che è Jan, e Damian Lewis (lo ricordate nelle prime tre serie di "Homeland", nei panni del marine che forse è una spia, ma forse no? Ruolo potentissimo che gli fruttò un Golden Globe) il quale, con i suoi capelli rossi e le sue efelidi tratteggia perfettamente l'impiegato inglese che decide di cambiar vita, perché il suo sogno è occuparsi di cavalli e non di stare dietro alla scrivania a rintracciare evasori fiscali.
Per onor di verità occorre dire che certi passaggi (l'incidente in pista, la rieducazione) sono raccontati con una compressione temporale che il cinema per sua natura pretende e che invece non appartiene al mondo della veterinaria. Però son peccati veniali, che non tolgono sapore al film.
Anticipiamo che questa storia - contro ogni pronostico - ha un lieto fine. Doppiamente gradito perché è una vicenda realmente accaduta: nello scorrere dei titoli di coda vediamo la vera Jan, con il marito e il sauro Dream Alliance che, ormai a riposo, se la gode in un prato. Con ironica precisione viene anche specificato "l'attivo economico" della società dei sognatori. Nel 2015 la loro vicenda si era meritata un documentario, poi si è pensato bene di farne un film, che è stato invitato al Sundance Festival (la rassegna di cinema indipendente fondata da Robert Redford, che si tiene ogni gennaio nello Utah) e da lì ha preso il via verso le platee di tutto il mondo. Naturalmente al galoppo.